Quattro imprese artigiane su cinque sono finite in profondo rosso nel 2020. Con picchi vicini alla totalità di imprese in perdita nei comparti che più hanno sofferto il confinamento, il distanziamento sociale, la drastica riduzione del commercio internazionale l’anno scorso. Un autentico “annus horribilis” per i micro imprenditori.
A rilevarlo una indagine curata dal nostro Centro studi CNA che analizza la contabilità di un campione di ben 12mila imprese con fatturato fino a cinque milioni. "Una indagine dalla quale emerge la necessità – chiede la CNA al governo – di una forte discontinuità nelle modalità di determinazione e nei tempi di erogazione degli aiuti rispetto agli interventi dello scorso anno. In particolare, andrebbe evitata la tagliola del calo minimo di fatturato pari al 33%, che potrebbe escludere dagli indennizzi molte imprese che pure hanno subito un forte calo di giro d’affari, sostituendo tale strumento con un meccanismo a scalare che riduca il beneficio da una certa soglia fino ad annullarlo per i valori di perdita inferiori alla media".
In dettaglio, l’80,8% delle imprese artigiane della manifattura e dei servizi ha chiuso i conti 2020 in perdita con un calo medio del fatturato pari al 27,2% rispetto al 2019. Nella manifattura, in particolare, il 78,1% delle imprese ha chiuso in rosso con una riduzione media del 26,2%. In alcuni comparti, però, le imprese in perdita e la perdita media sono ben più rilevanti. Nella produzione di gioielli si è registrato un tonfo record con l’88,1% delle imprese in perdita e un calo medio del 32,6%. Nell’abbigliamento-tessile-pelletteria le imprese in perdita hanno toccato il livello dell’85,8% con un calo medio del 31,7% del fatturato. E nelle produzioni per il tempo libero e lo sport l’85,7% e il -32,4% rispettivamente.
All’estremo opposto le costruzioni: grazie alle misure di incentivazione (come il Superbonus 110%), ha visto finire l’anno in rosso il 68,8% delle imprese con una perdita media del fatturato pari al 26%.
La situazione nel settore dei servizi è ancora peggiore. In termini aggregati, l’86,4% delle imprese ha accusato una perdita media di fatturato del 28,4%. Le flessioni del giro d’affari hanno assunto però estensioni ben diverse. In alcuni comparti il calo ha interessato la quasi totalità delle imprese: si va dal 98,7% nel trasporto persone al 94% del benessere alla persona (acconciatori ed estetisti), dal 92,5% della ristorazione al 92,4% delle tinto-lavanderie, dal 91,1% dell’intrattenimento al 90,9% dell’alloggio. Sul fronte delle perdite di fatturato, la riduzione nelle attività legate al turismo è stata tra un terzo e i due terzi del fatturato 2020 nei confronti di quello del 2019.
In questo quadro complessivamente drammatico quasi una impresa artigiana su cinque, per la precisione il 19,2%, ha registrato un fatturato superiore a quello dell’anno precedente segnando un incremento medio del giro d’affari pari al 19%. All’interno dello stesso settore, infatti, la variabilità dei risultati è notevole. Il caso dell’edilizia è il più eclatante: a fronte di un terzo delle imprese, che ha accusato una perdita media del 26% del fatturato, un altro terzo lo ha aumentato del 23%. Evidenza, questa, che suggerisce di correggere il meccanismo dei Codici Ateco, che ha guidato in prevalenza l’erogazione dei ristori a fondo perduto.
Così come sarebbe un errore utilizzare il breve arco temporale di gennaio e febbraio per misurare le perdite, come ha fatto il Decreto Ristori per il mese di aprile 2020. Se si paragonano i risultati dei primi due mesi del 2019 a quelli dell’intero anno, infatti, si nota che non esiste alcun rapporto stabile tra il fatturato dei mesi di gennaio/febbraio e quelli dell’intero anno. Meglio, quindi, utilizzare i dati dell’intero anno, commisurando la percentuale di ristoro compatibile con le risorse disponibili.